SISMA CENTRO ITALIA AGOSTO-OTTOBRE 2017 : L’INTERVENTO DELL’ARES, EMOZIONI E RIFLESSIONI

 

SISMA CENTRO ITALIA AGOSTO-OTTOBRE 2017 : L’INTERVENTO DELL’ARES, EMOZIONI E RIFLESSIONI

Mi piacerebbe che questo commento, che di solito facciamo a missione conclusa, fosse veramente il punto, la parola fine che normalmente compare quando si è arrivati ad una soluzione. Qui purtroppo siamo molto lontani da una soluzione, direi anzi che si è in piena crisi: le persone, gli uomini,donne, bambini, ragazzi e anziani, che stanno dietro alle cifre totali  di coloro che hanno perso tutto , sono appunto persone vere e non sono numeri, e sono ancora fra le macerie senza niente in mano. Persone lasciate sole a sopravvivere, in un senso di abbandono e sradicamento non meno devastante del sisma. Certo è che il compito dell’ARES non è quello della ricostruzione, la nostra associazione è stata molto presente e il team psicologico ha lavorato benissimo donando tutto sè stesso. Il nostro ruolo è intervenire al momento dell’emergenza, non possiamo sostituirci alle istituzioni che invece hanno il dovere di aiutare gli abitanti delle zone colpite a rinascere. Il nostro intervento è stato eccellente, quello che si poteva fare è stato fatto ed anche di più. Rimane l’amaro in bocca per una situazione ancora tragica e irrisolta. Ma questo è un altro discorso. Di seguito riporto le parole di Dorotea Ricci, referente e anima del gruppo psicologico. Ottima professionista e amica. Grazie a lei e a tutto il team.

Segreteria Ares, Olivia

Dorotea fra le altre forze di intervento

Camerino, 24.02.2017

Arquata del Tronto 25.03.2017

Ripercorro queste strade, come già fatto molte volte negli ultimi 7 mesi. Sto transitando in quello che, nell’immaginario collettivo, è diventato “il cratere”, come se si trattasse dell’eruzione di un vulcano. Qui non ci sono stati lava, cenere e lapilli ma il rimando al senso di devastazione, a qualcosa di tragico ed immane è lo stesso.

Allontanandomi dalla costa per avvicinarmi ai monti, gli edifici iniziano a mostrare le ferite, memorie del tanto ripetuto scuotere. Molti i camper, parcheggiati un po’ ovunque, e gli occhi della maggior parte delle persone velati da un devastante senso di precarietà. Torno in questi luoghi a missione conclusa, ci torno spesso, in abiti civili ma con i nostri colori ben piantati nel cuore perchè da quelli, come un tatuaggio, è impossibile separarsi.

Ogni soccorritore sa bene che l’esperienza più complessa, quando è tempo di tornare dalle missioni, è separarsi dai luoghi e dalle persone incontrate con i quali, dopo un po’ che si vive insieme, condividendo speranze, desideri, bisogni, emozioni, i vissuti diventano un simbiotico quotidiano. E’ sempre difficile mantenere il senso di differenziazione, necessario ad alleggerire ed elaborare il ritorno, quando la normalità, al confronto, sembra vuota e priva di senso. Si dorme nelle stesse tende, si mangia, quando c’è, lo stesso cibo, si usano gli stessi servizi igienici delle persone colpite ed il confine tra il “noi” ed il “loro” diventa inversamente proporzionale alla durata della missione. Molto difficile, dicevo, separarsi da tutto questo quando si torna alla propria vita “normale”. Come si fa, chiedo, a lasciare andare quando, dopo mesi, l’evento che ha procurato tanta devastazione, continua ad essere lì, acquattato come il mostro feroce e silente delle favole, che ogni tanto si sveglia ed emette un ruggito che gela il sangue e sgretola i pochi muri rimasti in piedi? Come si fa quando tra chi ha ricevuto in prima persona la zampata del mostro, ci sono persone care, amici, colleghi e gente che ha la divisa del tuo stesso colore? Come si fa quando con molte delle persone incontrate hai intessuto legami diventati quasi di sangue? Come si fa quando tutto questo accade nella tua terra, ad una manciata di km da casa tua? Si fa che non riesci mica tanto a buttarti tutto dietro alle spalle. Per questo io torno qui, a volte solo per mangiare qualcosa insieme, seguire un progetto, scambiare un abbraccio e magari, già che ci sono, fare qualche intervento.

Sono giorni di anniversari tristi, quelli con cui il mio ritornare coincide. 24.08.2016, il primo terremoto, quello che ha raso al suolo interi paesi e ne ha piegati in ginocchio molti altri. Qui inizia la missione ARES che ci porterà ad intervenire in una prima tranche della durata circa di 1 mese mezzo, localizzata nei paesi colpiti della provincia di Ascoli Piceno, prima, e sulla costa in un secondo momento. Base logistica Arquata del Tronto, area di intervento tutti centri maggiormente colpiti nell’area compresa tra Pescara del Tronto e Montegallo. Turni di lavoro h 24 nelle tendopoli della Protezione Civile e nei vari campi satellite. Logistica abbastanza complessa così come l’organizzazione del lavoro. Il trovarsi ad operare senza al fianco il collaudato “sistema ARES”, il doversi interfacciare con realtà operative diverse dal nostro modus operandi, il doversi occupare di tutti gli aspetti coerrelati ad un’emergenza di primo livello hanno reso questa missione, per il team nella sua interezza, particolarmente complessa ma allo stesso livello stimolante ed utile. Nei nostri interventi di supporto psico-sociale ci siamo trovati a lavorare a stretto contatto con altre organizzazioni di Psicologia dell’Emergenza e di volontariato in genereale, ad interfacciarci con gli Enti Locali, con i Medici di Base e con i sanitari inviati sui territori da tutte le regioni italiane, con le Scuole, con gli organi di Stato (Forze dell’Ordine, Vigili del Fuoco, Guardia di Finanza, Forestale etc), con i ministri ed i membri di comunità religiose, ed a tutti abbiamo cercato di offrire, al meglio delle nostre capacità, il nostro apporto ed impare, laddove ce ne siano stati, dai nostri errori. Il nostro operato è stato a tutto campo, in un’ottica di prendersi carico dell’intera comunità colpita e non solo dei suoi singoli abitanti che ne facevano richiesta, e no-stop. Soprattutto nelle prime fasi non si staccava mai, a volte è accaduto di essere chiamati, in piena notte, per supportare l’operato delle forze dell’ordine, altre di restare a chiacchierare fino all’alba, condividendo qualche bicchierino di genziana o di birra, con i ragazzi del posto perchè quelle risate nonostante tutto, quelle storie buffe, che rappresentano la memoria storica di una comunità, a volte hanno la stessa valenza terapeutica, e forse anche di più, di un colloquio svolto “con tutti i crismi”. Dopo circa una mese e mezzo dalla nostra prima presenza sul territorio di Arquata, quando le risorse e le disponibilità alla turnistica del nostro piccolo team, sono iniziate a diminuire, in una fase emergenziale che sembrava avviarsi verso un secondo livello, con l’intento di restare fedeli ai nostri standard qualitativi, è arrivato il tempo di chiudere, ufficialmente, la missione, smontare la bandiera e fare bilanci. In realtà trascorre solo una manciata di giorni ed il 26 Ottobre arriva il secondo grande sisma che abbatte quel poco che era rimasto nei territori già colpiti dell’ascolano e crea lo stesso sconquasso nella provincia di Macerata. Il giorno seguente si riparte per la seconda missione, base logistica preso i locali del CUS di Camerino. Base operativa tutti i comuni e frazioni vicini. E si ricomincia a ritessere, con pazienza e competenza, le tele strappate, cercando di costruirne di nuove. Nuove facce, nuovi scenari, nuove organizzazioni ed anche nuove figure all’interno del nostro team, vecchia fatica ancora da metabolizzare. Ma non si può badare a questo, siamo chiamati a dare il nostro contributo ed è quello che faremo. A Camerino sia la logistica che l’operatività sono migliori e questo vuol dire molto, c’è un coordinamento decisamente più funzionante. La città è impraticabile, tutto è zona rossa, ma le strutture sportive poste nella periferia hanno resistito e, resistendo anche alla scossa terribile del 30 Ottobre, permettono di offrire un rifigio sicuro ad oltre 600 persone. Come ultima fase della nostra missione veniamo dislocati a S. Benedetto del Tronto per seguire, con turnazioni giornaliere, la popolazione sfollata negli hotel. Si ritrovano visi, si riascoltano storie e si stringono mani. Gli occhi, i nostri ed i loro, sempre più stanchi, i cuori sempre più gonfiati dalla pena, le menti sempre più affollate di punti interrogativi, molti dei quali ancora senza risposta. Ci si riconosce nello stesso sconforto, la consapevolezza dell’enorme mole dei bisogni e della scaristà delle risorse, pesa come un macigno su spalle stanche. I conti non tornano ma si va avanti perchè noi non si è ragionieri, non si lavora con la logica dei numeri ma con quella del cuore, e si fa quel che si può rinunciando a tanto ma tanto ottenendo. E quando si ottiene è obbligo restituire, ed io con tutto il cuore ringrazio le tante persone che, pur da vittime, ci hanno permesso di aiutarli e ci hanno supportato attivamente nel nostro lavoro. Ringrazio poi tutte le organizzazioni di volontariato e professionali con cui siamo entrati in contatto. Ringrazio chi ci ha in ogni modo supportato ed anche chi, volontariamente o incosapevolmente,  ci ha ostacolato, perchè è la salita che da la misura della forza delle nostre gambe. Ringrazio Mario Caroli per il “supporto psicologico” e per la lungimiranza di farmi partecipare a formazioni “tecniche” come quelle europee, rivelatisi utilissime in questa missione, ed Olivia per il paziente lavoro di back-office della Segreteria e per il suo affetto, tutti i soci che da vicino o da lontano in ogni momento hanno fatto sentire che il grande cuore ARES batte sempre all’unisono. Un grazie immenso al team operativo, le “vecchie” e i “nuovi” puffi che hanno messo in gioco le loro competenze ed anche l’anima per la riuscita della nostra missione. Grazie a Marco per tutto quello che ci ha lasciato, per la fiducia, per le provocazioni, per le barzellette, per i sorrisi sornioni, per i cazziatoni, per esserci ancora e sempre.

Dorotea Ricci

 

Postazioni di lavoro in emergenza

 

Attività con i bambini